sabato 31 agosto 2013

L'eleganza del mite. La storia calcistica di Dennis Bergkamp

Il sogno divenuto realtà di Dennis
Il 10 marzo del 1969 nasce ad Amsterdam il figlio di un elettricista con la passione per il calcio. Il padre fa di cognome Bergkamp e milita come amatore nelle leghe dilettantistiche olandesi. In onore di Denis Law, calciatore scozzese, chiama il figlio Dennis (la doppia “n” viene impiegata per rendere il nome più neerlandese e perché l’anagrafe olandese non accetta il nome Denis). Il piccolo gioca nei sobborghi di Amsterdam, mentre i suoi genitori si spezzano la schiena per mantenere la famiglia ed aspirare ad una posizione sociale più elevata. Quando Dennis compie 11 anni , è il 1980 e riceve una chiamata dall’Ajax. Il ragazzo entra nel fiorente settore giovanili degli Ajaced. Le qualità indubbie del ragazzo portano l’allenatore Cruijff a gettarlo nella mischia del calcio che conta al più presto: nel 1986 fa il suo esordio contro il Roda JC, partita vinta dall’Ajax 2-0. Il primo gol da professionista arriva nel febbraio del 1987, contro l’Haarlem. Il mite Bergkamp giocherà 23 partite in quella stagione, esordendo anche in Europa. La sua carriera prende ironicamente il decollo ( ironicamente sì…), con l’Ajax vince e convince, viene insignito di vari titoli individuali e di squadra, domina in patria ed è temuto al di fuori dei confini olandesi. Nel 1992 vince la Coppa Uefa contro il Torino, nello stesso anno vince il premio “Giocatore olandese dell’anno”. Nel 1993 decide di lasciare Amsterdam, dopo 185 partite e 103 reti.
Tutta la grinta di Dennis Bergkamp
Il silenzioso olandese arriva nella Milano neroazzurra, per una cifra intorno agli 8,5 milioni di €. L’innocenza di un 24enne con i piedi buoni viene stroncata di lì a poco. Il calcio italiano è molto diverso da come Dennis se lo aspettava, trucchetti fisici e mentali sono all’ordine del giorno, la pressione della stampa insostenibile. L’olandese è introverso, parla con pochi, solo con il compagno di nazionale Jonk. Lo status psicologico si riversa sull’andamento del calciatore in campo. Bergkamp non incide, sembra aver paura. L’Italia non gli piace, dopo due anni decide di cambiare aria, basta qui non se ne può più. Nel 1995 lascia lo stivale per l’Inghilterra, in due anni gioca 52 match e va a segno 11 volte. Il popolo neroazzurro lo ricorderà per sempre come un bidone, senza personalità, ma Dennis è solo chiuso in sé stesso, non ha paura, vuole solo giocare. Il campo parlerà per lui.

Il "nostro" Dennis piuttosto impaurito

L’Arsenal lo accoglie a braccia aperte, a dire la verità Rioch, tecnico dei Gunners, lo aspetta circa 3 giorni con gli arti spalancati, ormai ha il mal di schiena. Bergkamp stenta ad arrivare perché è in viaggio in corriera; un po’ scortese da parte sua visto la posa scomoda dell’allenatore scozzese, è quanto meno da denuncia far venire la sciatica al proprio mister per cocciutaggine. Quello di Dennis però non è sadismo verso i sessantenni, semplicemente l’olandese non prende l’aereo per paura: durante i mondiali statunitensi del 1994 qualche buontempone compagno di nazionale gli gioca un brutto tiro: c’è una bomba sull’aereoplano, qualcuno grida. Dennis va in panico e da lì hanno inizio i suoi problemi con il volo. Aereofobia è il termine scientifico, questa paura, non desueta nei Paesi Bassi, ne limiterà la carriera, le trasferte in giro per l’Europa saranno un incubo per lui. La carriera di Bergkamp sembra aver preso la più sbagliata delle pieghe. L’olandese però reagisce, nel 1998 arrivano Premier League, F.A. Cup e Community Shield, “The Not-Flying Dutchman” è il migliore dei suoi, adora giocare insieme a Ian Wright, con Wenger in panchina poi la squadra assume una dimensione internazionale. L’alsaziano esalta le doti del ragazzo di Amserdam, gli affianca Anelka, Bergkamp si trova bene con l’eccentrico Nicolas, ma la stella dei Gunners sceglie Madrid. Francese per francese, arriva dall’Italia uno scarto della Juventus, si chiama Henry. Il dado è tratto e la storia farò il suo decorso, nascerà da quella coppia una squadra fenomenale, Overmars, Seaman, Adams, Pires e Petit (solo per citarne alcuni…). L’Arsenal del leader francese Henry e del pacato olandese Bergkamp, entrambi scarti di un calcio italiano troppo narciso per dare una seconda chance, è temuto in ogni dove. Nel 2004 l’apoteosi di una squadra senza eguali, 49 partite senza sconfitta. La carriera di Dennis però si chiude in lacrime, i Gunners perdono la finale di UEFA Champions League contro il Barcellona di Rijkaard. 315 partite, 87 reti ed innumerevoli assist. Il ruolo di seconda punta è la sua dolce fine, gioca con intelligenza sublime, dotato di un calcio vellutato di interno destro, imprendibile, leggero ed elegante. 
Gli scarti più amari della Serie A
In nazionale il discorso non cambia: nel 1998 segna una rete da brividi allo scadere contro l’Argentina, portando la sua Olanda in semifinale, successivamente persa ai rigori contro il Brasile. La rete di Dennis è divenuta uno spot del calcio, ogni olandese ha in mente quella perla e Ayala che dopo la finta del centravanti va a prendersi un caffè nel peggior bistro di Parigi. Riguardare quella rete fa venire ancora i brividi, da occhi lucidi e nostalgia verso un campione che purtroppo non calca più l’erba di Highbury, anche perché le mura del vecchio stadio dei biancorossi sono dei muri portanti di una serie di condomini. Dennis Bergkamp si ritira e porta via con sé lo stadio, che beffa. Nello stesso anno una doppia perdita per i Gunners, infatti non è un caso che un appartamento di questi condomini sia divenuto un centro di cura per nostalgici tifosi dell’Arsenal, i pazienti si siedono davanti alla finestra e sospiranti osservano qualche tracagnotto infermiere simulare le reti del numero 10 laddove c’era Highbury fino a poco tempo fa. Si narra anche che Wenger dopo gli acquisti di Gervinho e Arshavin si sia documentato per un eventuale ricovero nel suddetto ospizio.




Qui termina la carriera da calciatore di Bergkamp, giocatore silenzioso, “senza palle” diviene il simbolo di chi fa parlare sempre il campo, introverso gioca per gli altri, non per sé. Pecora in spogliatoio, leone nel rettangolo di gioco. 



martedì 27 agosto 2013

"Caledonia Man" e il poco promettente pugile Adem. Pionieri di sé stessi

1998 – Finale della Coppa del Mondo: Francia 3 – 0 Brasile. Questo è il punto di partenza della nostra avventura.
Il berbero Zidane alza la Coppa al cielo

Il mio primo ricordo calcistico è la rete allo scadere di Emmanuel Petit. La Francia è in festa, la gente prende il proprio gallo portatile e per la gioia lo spenna(sì, nella nazione dello Champagne ognuno porta con sé un gallo allo stadio). Però nonostante il grande gaudio nessuno schiamazza, perché in Francia sono un po’ tutti mimi e le persone preferiscono esultare facendo finta di scendere le scale. Al di là della facile ironia, quella finale la gioca da protagonista un tizio della Nuova Caledonia (nuova che?), il personaggio in questione è Karembeu (sì, quello con la moglie da urlo). Christian Karembeu però non canta la marsigliese, il bisnonno Willy arrivato in Europa dalla suddetta Nuova Caledonia fu oggetto di una mostra coloniale francese del 1931 come esponente di una fantomatica tribù di cannibali. L’orgoglio di Christian per le sue radici lo ha portato a questa drastica decisione. Atto ammirevole a mio avviso. Recentemente è uscita la sua biografia ed è un orgoglioso esponente del calcio oceanico nelle manifestazioni internazionali. Attualmente il nostro Christian lavora come talent scout per quel strano alsaziano con la passione per i bambini denominato Wenger.

Chrstian Karembeu

Christian Karembeu non è il solo. Il talentino Ljajic ha scatenato le ire di Sinisa Mihaylovic per non avere cantato l’inno serbo prima di un match. In Serbia non si tollerano atti di questo tipo, è un lampante scempio alla nazione. I media italiani hanno passato un po’ in sordina la notizia, preferiscono parlare della “Street Fight” fra Adem e Delio Rossi. “Ljajic non canta l’inno? È sempre il solito, non impara mai…” Le motivazioni dietro questo rifiuto sono invece più serie, il viola apparitene ad una minoranza islamica della Serbia, non prende parte al cerimoniale dell’inno perché i nazionalisti serbi hanno perseguitato il suo popolo. Ljajic ha perso la nazionale per questo. La scelta gli fa sicuramente onore.

Ljaijc alla vista di Delio "Tyson" Rossi
Il tizio con le treccine della Nuova Caledonia e il ragazzino che si è fatto picchiare da Delio Rossi, antieroi di chi mette in prima posizione le proprie radici. Prima di cantare l'inno vai a chiedere a tuo bisnonno se è stato rinchiuso in una cella da esposizione.

L'incredibile storia di Istavn Bakx, "The Google striker"

Istvan Bakx

Chi è Istvan Bakx? La risposta più credibile potrebbe essere "la dimostrazione vivente che la vita può darti una seconda opportunità". Lo scenario della nostra storia è quello delle Fiandre dell'ovest. Siamo nel corso della stagione calcistica 2007/08, il K.V. Kortijk è una modesta squadra della Belgacom League, serie B Belga, che gioca nella cittadina omonima di Kortijk, dove il calcio, diciamocelo, non è la prima preoccupazione dei cittadini. 
L'allenatore, oltre alle scarse risorse finanziarie del club, deve affrontare l'intera stagione senza il suo laterale sinistro per il tridente offensivo, una mancanza che preoccupa non poco Hein Vanhaezebrouck, tecnico del Kortijk. Con le casse vuote ed il campionato alle porte, urge una soluzione per trovare un calciatore che possa colmare il gap nella rosa.
Una sera, tornato dall'allenamento, Hein accende il suo PC e digita sul popolare motore di ricerca Google "attaccante mancino", trovando tra i primi risultati della ricerca il nome di Istvan Bakx, giocatore dilettante classe 86' del HSV Hoek, squadra dello Zeeland.
Bakx aveva impressionato molti in un torneo fra dilettanti in Olanda ed il suo nome, in qualche modo, colpisce Vanheazeboruck, che prende nota del nome e va a dormire. La mattina seguente, appena sveglio, Hein si mette in contatto col calciatore e gli propone un provino col Kortijk. L'olandese accetta e, dopo i risultati positivi del test, viene aggregato alla prima squadra.
Bakx impressiona e a suon di reti porta il piccolo K.V.Kortijk in Jupiler League, la massima lega Belga.
La fiaba di quel attaccante mancino dello Zeeland sembra esser finita qui, ma "The Google Striker", così sopranominato dai media per la sua storia pazzesca , sorprende ancora con il modesto Kortijk quando sotterra di reti (5-1 il risultato finale) il ben più blasonato AA Gent. 
Sul tabellino della gara, al 90', il nome di Bakx risulta segnato tre volte: quella della tripletta da professionista, per un ragazzo destinato a calcare i campi di periferia olandesi che sta portando avanti la sua squadra nella Coppa di Belgio, è una storia fantastica, che solo questo sport può regalare. 
La congiuntura fortunata di Istavn Bakx sembra esser arrivata al termine, ma quando, nel marzo 2008, il giovane Istvan riceve la chiamata di un attempato signore che risponde al nome di Foppe de Haan, allenatore a quei tempi della Jong Oranje (Under 21 Olandese), deve essersi chiesto se stesse vivendo un bellissimo sogno o se fosse la realtà quella che stava vivendo.
Bakx gioca, così, la sua prima ed unica partita con la maglia dei piccoli tulipani contro l'Estonia. Poco dopo viene ceduto al Genk, dove avrà poca fortuna, raccogliendo solo 3 presenze. La sua carriera continua al Den Bosch e poi, in prestito, al Willem II. 
Attualmente è di proprietà del Den Bosch, perchè pur avendo iniziato la stagione in prestito all'AGOVV Apeldoorn, con il recente fallimento della società di Apeldoorn, il giocatore è tornato alla casa madre.
Una bellissima vicenda che dimostra quanto la vita ci possa sorprendere e quanti talenti inespressi, per sfortuna o altri motivi, calcano i campetti di periferia.