domenica 17 gennaio 2016

Leopardi, Marcellis e la calura primaverile. Amare memorie calcistiche

Mi alzo in piedi, tolgo repentinamente il mio armamentario dal tavolo della biblioteca e lo infilo nello zaino. I miei Canti di Leopardi sono usurati, le pagine sono stanche di essere sfogliate ed io, oramai, provo il vomito ad odorare quell’opera. Ritorno in appartamento, congedo il mio coinquilino e prendo il treno per rincasare per il weekend: “Ci vediamo a Vittorio Veneto, vecchio mio…” – affermo affettuosamente, lui mi risponde con un cenno e mi colpisce con un amorevole e paterno schiaffo. Sono un paio di notti che non dormo, mi interrogo e lui conosce il motivo: il motivo si chiama Carla. Io e Carla ci siamo frequentati per un mese o poco più, un rapporto acerbo che è collassato su sé stesso. Niente di serio, vanità e banalità che l’università ti offre e tu, stoltamente, ti senti in dovere di cogliere al volo come un pallone che viaggia a metà altezza e tu colpisci in tuffo a pesce. L’impatto avviene, ma è sempre complicato comprendere dove si spegnerà la sfera. Una sfera che tradizionalmente non vuole mai insaccarsi in rete e preferisce lambire i legni di una metaforica porta chiamata esistenza. 



Sono in treno e ascolto i Marlene Kuntz, Carla è la canzone che risuona meccanicamente nelle mie orecchie e ripenso a questa ragazza dai capelli corvini e occhi glaciali. Io e Carla non abbiamo mai intrattenuto un gran dialogo, ci siamo incrociati e qualcosa è accaduto. Nessun trasporto emotivo mi affliggeva durante quel viaggio verso casa, bensì una continua interrogazione sul femminile ed i suoi atteggiamenti. Il dover fare da carnefice mi è sempre stato d’ingombro e, nuovamente, ho dovuto pronunciare una sentenza pleonastica, ma altresì necessaria. "Ho il cuore pieno di cicatrici", sosteneva. "Prova a perdere tre finali mondiali", pensavo. Poco importa di Carla, pazienza per Elena che mi manca perché quattro anni di relazione disgregati in una mattinata di gennaio si fanno sentire in questi momenti, questo fine settimana c’è il NAC Breda. Ebbene la mia squadra si gioca lo scontro salvezza contro il Roda JC, in casa, forte del 1-0 dell’andata. Una partita che genera elettricità nell’aria. L’atmosfera a casa è pesante, mio padre mi saluta una volta arrivato e discutiamo brevemente dell’imminente match. Vado a dormire, ma prima rileggo qualche lirica del Leopardi. In maniera sonnolenta e poco partecipe.

Mi alzo la mattina seguente, penso a Carla e tiro un pugno sul muro. Non è possibile che ci si comporti così, deglutisco e scruto la mia scarpa del NAC per una buona oretta. La tengo vicino ai miei libri, è un appiglio metaforico in questa tesa mattinata. Stento a fare colazione, guardo il telefono, un messaggio ricevuto: “Ehi vecchio, tutto bene?”. È il solito coinquilino e amico di una vita, il messaggio però non parla di Carla, parla del NAC. “Sì, sì, sono in una tremenda agitazione.”, rispondo velocemente. Arriva il primo pomeriggio, mi piazzo sul divano e la partita ha inizio. Il NAC non tiene assolutamente il campo, non riesce a gestire il vantaggio e prende una rete scottante: Paulissen al 43’ porta in vantaggio il Roda. Tutto da rifare. La ripresa è una vera e propria sofferenza: Jelle ci toglie dallo specchio della porta un paio di conclusioni pericolose e Seuntjens si fa cacciare dal terreno di gioco per un fallo oltremodo sciocco. Swinkels, centrale colorito del Roda JC, decide di fare lo stesso e la parità numerica è ripristinata. Si sconfina nei supplementari e le mie speranze si fanno sempre più flebili. Il NAC guadagna un corner, Tighadouini va alla battuta e sbuca Marcellis: GOAL! Il pallone entra di circa un centimetro, varcando inesorabilmente la linea. Pareggio, siamo ancora vivi. Una rete sporca, voluta e di cuore, come il sottoscritto. Una volta arrivata la conferma della marcatura del nostro capitano caccio un urlo da eroe omerico, abbraccio veemente mia madre e comincio a saltare sui divani come se non ci fosse stato un domani, accompagnato dal mio cane che diviene incosciente partecipe della festa. Scoppio in lacrime, lacrime di gioia. Piango, alla stregua di quando Sneijder decise di infilare il miracolato Ochoa in un Olanda - Messico dell’estate precedente e pareggiare la gara a ridosso del tempo regolamentare. Lo stesso Sneijder tanto amato da Elena, che momentaneamente salvò la nostra relazione all'88' di quel paradossale match, poiché il calcio offre epifanie che una persona non può che cogliere al volo. Grazie Marcellis, grazie di cuore.


Vada al diavolo Carla, ha segnato Marcellis e possa pure prendere la via degli inferi Federica. Sì, Federica che mi osserva malignamente in biblioteca e che suole intrattenere un gioco di sguardi: una sfida a chi abbassa il volto per primo. Rigorista e portiere, nervi tesi e chi domina la pressione porta a casa il risultato. Peccato non sappia batte i rigori, sono un terzino ed un centrale difensivo adattato, come Marcellis. Oggi la mediocrità però ha fatto goal e poco importa.
 
Il fotogramma della rete di Dirk Marcellis

La partita prende una piega favorevole al NAC Breda, ma Naah e Tighadouini falliscono la rete del decisivo 2-1 che ci avrebbe regalato la certezza della permanenza in Eredivisie. Già, una certezza che con il femminile non puoi mai dire di possedere. Van Hyfte, 2-1 Roda ed il sottoscritto si porta le mani nei capelli. Carla, Federica, Elena perché mi fate questo? Non ho mai smesso di credere nella salvezza e sino all’ultimo minuto urlavo per incitare i ragazzi. Probabilmente cercavo di animare anche me stesso. Tighadouini guadagna una punizione dal limite al 120’, alla battuta va lui perché è l’uomo della provvidenza, destro a giro: fuori di un soffio. Fischio finale, NAC Breda retrocesso nella serie cadetta. Buio totale, realizzo di essere stato sconfitto da una settimana amara, anzi da un anno amaro. Piango, forte e per diverso tempo. Mi distendo a terra e abbraccio il mio cane. È morto qualcosa dentro di me quel giorno, un qualcosa che sarebbe rinato solo pochi mesi dopo. Mi guardo intorno e sospiro. Non ho fame o sete, sono sudato e stanco come avessi giocato io quella partita o, per meglio dire, come l’avessi persa io quella partita. La seconda sconfitta di quella settimana, l’ennesima sul lungo periodo. La rivincita non è avvenuta, non ne siamo stati in grado. Io e quel branco di ragazzi che vestono di giallonero, figli di una madre sfortunata. Ci si giocava qualcosa di più quel pomeriggio, loro lo sapevano e non ci siamo riusciti, il fato ha eretto un muro. Io, da solo in casa sbatto la testa contro la parete, il malessere non è dicibile. Ho perso, ancora, non me ne capacito. Vorrei scrivere a Carla, dirle che è stata lei a far retrocedere il NAC Breda, non avrebbe capito, non ci siamo mai compresi. Elena mi scrive. Elena sa che amo follemente il NAC Breda, mi chiede come sto e le rispondo malamente. È inevitabile, il NAC Breda è stato sconfitto. Penso, mi tormento e mi chiedo perché Robben non superò Casillas, perché Resenbrink nel ’78, perché il cucchiaio di Totti. Nazionale dannata, come il NAC, come il sottoscritto. Incapaci di vincere, invisi a qualche divinità.

Mi rifugio nel pub del paese, i miei amici ciarlano, ma non riesco ad ascoltare nulla. Sono alienato dal dolore sportivo. Ordino una birra, color giallo paglierino e l’ombra del boccale è nera. Giallo e nero. Giallo come il fiore che posai sui capelli di Carla, neri come la pece in uno dei nostri incontri. “Stai davvero bene con questo fiore.”, le dissi. Lei non sapeva che volevo ricreare i colori della mia squadra del cuore servendomi della sua figura, ignara mi sorrideva e mi guardava fiduciosa in quel pomeriggio afoso di maggio, dopo una lezione sul Decameron di Boccaccio. Condivideva non conscia il mio amore, ne era immagine, non sostanza. Io mi persi in lei in quel momento posticcio, ma non andai oltre l'intermittenza temporale. Una volta realizzato che Carla non era il NAC, ma bensì un artificio, il mio dolore si estinse e con esso il pensiero di Carla. 

Risolvo la pratica mentale Carla, ma non riesco a capire perché mi senta in dovere di tifare NAC Breda. Una volta rientrato a casa, apro sommessamente Leopardi, La ginestra

"Come la ginestra nata sulla pietra lavica
mi vedo lottare come mosca nel bicchiere
eppure Dio, lo lascio fare" ( La morte - Baustelle )

Leopardi tifava sicuramente una squadra del calibro del NAC. Recepisco la risposta ottocentesca e chiudo il libro. Ricomincio ad esistere.